venerdì 14 settembre 2012

L'ORIGINE DELLA SFORTUNA DEL VENERDI' 13


Era Venerdì 13 Ottobre del 1307: scattava durante le prime ore dell’alba in tutta la Francia l’operazione che il re aveva concepito quasi un mese prima (il 14 Settembre) e che aveva ordito in segreto fino ad allora. L’obiettivo era arrestare tutti i templari presenti sul territorio francese e sequestrarne i beni. L’ordine in tal senso era stato diramato da tempo a tutti i balivi ed i siniscalchi del regno, con l’imposizione di tacerne fino alla data stabilita, che era appunto venerdì 13 ottobre, data che proprio da questo episodio divenne simbolo e metafora di “grande sciagura” e sfortuna. L’operazione, mirabile per efficienza e segretezza per quei tempi, porterà all’arresto simultaneo di 546 cavalieri. Pochi quelli che riuscirono a fuggire: un documento degli archivi reali parla di una dozzina di templari scampati alla cattura, probabilmente furono assai di più (durante il processo si fecero i nomi di altri 18 cavalieri in contumacia), mentre da altre fonti si ha notizia di 40 cavalieri in fuga nella notte, fra i quali Gerard de Vilche il maestro di Francia e il nipote di Hugues de Pairaud, che avrebbe poi progettato con un compagno un vano tentativo di vendetta teso ad assassinare il re.
La “preda” più ambita dell’operazione (oltre al tesoro dell’Ordine) era ovviamente il Gran Maestro Jacques de Molay, che pare fosse stato avvisato, ma non volle, e non potè, sottrarsi all’arresto. Conosceva ovviamente le accuse rivolte all’Ordine del Tempio (blasfemia, eresia, sodomia), ed era probabilmente sicuro, in cuor suo, di poter difendere con successo se stesso e l’ìnterno ordine templare. Fuggire in quella circostanza avrebbe significato ammettere le colpe addebitate. Appena il giorno prima, il 12 Ottobre, lo stesso Gran Maestro si era trovato al fianco del re, alle esequie di Catherine de Courtenay, moglie di Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello, come se niente fosse. Poche ore dopo sarebbe finito in catene per ordine dello stesso Filippo. Jaques de Molay ed i suoi confratelli, pur sconvolti dal precipitare degli eventi, erano probabilmente sicuri di poter confutare le accuse, e fidavano su un più diretto e incisivo intervento del Papa Clemente V a loro difesa. Non facevano i conti, quegli uomini, con la forze costrittiva della tortura, applicata scientificamente dagli inquisitori del re.

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